Everest
Regia di Baltasar Kormákur
Con Jason Clarke, Josh Brolin, John Hawkes, Jake Gyllenhaal, Martin Henderson, Emily Watson, Robin Wright, Sam Worthington, Keira Knightley
USA, Gran Bretagna, Italia, 2015
Negli anni Novanta la scalata all'Everest si avviava a diventare la triste baracconata commerciale che ormai caratterizza l'ascesa alla cima più alta del mondo, con file di dozzine di alpinisti fermi in attesa di progredire verso la vetta come se fossero in coda per comperare il biglietto al cinema. "Everest" di Baltasar Kormákur è ambientato proprio all'alba di questo approccio alla montagna, quando nel 1996 varie agenzie di viaggi specializzate nelle scalate in alta quota organizzarono la scalata sulla vetta dell'Himalaya. Il film, basato su fatti realmente accaduti, è la storia delle spedizioni commerciali avvenute nella primavera di quell'anno, quando in seguito a una terribile tempesta morirono otto persone.
"Everest" è un film incompiuto, nel senso che dalla narrazione degli avvenimenti, portata avanti con piattezza e con una linearità disarmante e priva di guizzi, non emergono in maniera nitida i temi che gli autori avrebbero voluto sviluppare.
Nelle intenzioni del regista e degli sceneggiatori "Everest" avrebbe dovuto essere un film nel quale l'uomo cerca di dominare la natura - tentando di rendere l'ascesa alla montagna un'impresa alla portata di chiunque possa pagare - ma viene travolto dalla forza schiacciante degli elementi e punito per essere stato arrogante. Da questa situazione avrebbe dovuto emergere in maniera epica ed eroica uno degli alpinisti, martoriato ma vivo dopo avere trascorso una notte sepolto sotto la neve. Che questa avrebbe dovuto essere l'impostazione del film lo si riesce a intuire, ma il tutto si riduce a un baluginio e poco più.
La fotografia e gli effetti speciali non sono d'aiuto. Nonostante la bellezza selvaggia dell'ambientazione, il film non è sostenuto da una fotografia adeguata, che si riduce a qualche panoramica da album delle vacanze. Inoltre la rappresentazione della tempesta di neve ha il pathos di una nevicata qualunque in centro città.
La sceneggiatura, poi, contiene un elemento che manda all'aria la possibilità di provare ammirazione per il personaggio che si salva con le sue forze. Dopo avere saputo che è ritornato miracolosamente al campo base, la moglie dell'uomo, nella sua casa signorile negli Stati Uniti, fa una telefonata minacciosa all'ambasciata, pretendendo che un elicottero vada a prelevare il marito. La scena è mostrata al pubblico come se il regista volesse suggerire: "Guardate come si dà da fare la moglie, che muove mari e monti per salvare il marito! Anche questo vi fa capire che la situazione è al limite ed estremamente drammatica!". Beh, non è questo che viene suggerito.
Bisogna dire che nemmeno la storia originale è d'aiuto per confezionare un film in linea con le intenzioni degli autori. Quelli che erano saliti sull'Everest quel giorno del 1996 erano alpinisti che si erano messi in pericolo per via delle loro decisioni stupide e sconsiderate. Non si può provare empatia assistendo alle vicende di persone che se la vanno a cercare in modo così insistente. Forse è questa caratteristica della vicenda che rende il film così piatto, piatto come l'eeg dei protagonisti.
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