Il ragazzo più bello del mondo (2021)

 


Il ragazzo più bello del mondo
Regia: Kristina Lindström, Kristian Petri
Con Björn Andrésen, Annike Andrésen, Silva Filmer, Riyoko Ikeda, Margareta Krantz, Ann Lagerström, Johanna Lidén, Robine Román
Svezia, 2021

All'età di quindici anni Björn Andrésen recitò nel film Morte a Venezia di Luchino Visconti, e nel corso di una conferenza stampa a Cannes fu definito dal regista "il ragazzo più bello del mondo". La pellicola di Kristina Lindström e Kristian Petri che prende il titolo da quell'affermazione di Visconti è un documentario su quell'attore, diventato ormai un sessantenne con il volto scavato dai segni della vecchiaia e della vita.
Per ricomporre il mosaico dell'esistenza di Björn Andrésen, i due registi svedesi hanno fatto ricorso a un mosaico di fonti d'epoca (filmati in Super 8 girati dalla nonna del ragazzo, spezzoni di trasmissioni televisive, un documentario girato da Visconti per la RAI, registrazioni sonore, fotografie, immagini tratte da Morte a Venezia e da Midsommar - Il villaggio dei dannati) ai quali hanno aggiunto numerose riprese effettuate da loro nel presente.
In maniera intelligente, queste fonti eterogenee non sono state amalgamate dai registi e sceneggiatori seguendo una linea temporale continua che andasse dalla nascita del protagonista fino al presente.
La Lindström e Petri hanno preferito seguire l'approccio più naturale e spontaneo possibile che si può adottare quando ci si approccia al soggetto scelto per il loro documentario: dapprima l'uomo come è nel presente (perché è di una persona in carne e ossa che parla il documentario, un uomo che vive ancora oggi e con il quale si può avere un dialogo), poi l'esperienza di Morte a Venezia e il successo che è seguito (perché se qualcuno ha la curiosità di approfondire la sua conoscenza su Björn Andrésen al punto da farne un documentario è proprio perché ha fatto l'attore in quel film; è quella la scintilla iniziale) e infine i risvolti meno conosciuti e più intimi della sua vita (perché è solo dopo essersi avvicinati all'attore, partendo da un approfondimento degli aspetti più noti della sua vita, che emergono altri aspetti fino ad allora rimasti nell'ombra).
Ne è nato un film interessante sotto più punti di vista. Per quanto riguarda Morte a Venezia, il documentario offre un piccolo spaccato su quello che era lo spessore del cinema italiano degli anni Settanta. Era il cinema dei grandi maestri, la cui statura culturale era riconosciuta a livello internazionale.
Il film ebbe successo a livello mondiale, e Björn Andrésen diventò un'icona di bellezza. Uno dei Paesi in cui il giovanissimo attore ricevette più attenzioni è il Giappone. Il ragazzo si recò nel Paese asiatico per un lungo tour nel corso del quale si prestò alle attività più disparate: incise un disco, recitò nella pubblicità, partecipò a programmi televisivi, e così via. Fu l'iniziatore del fenomeno giapponese degli "idol" e la fumettista Riyoko Ikeda (intervistata nel documentario) si ispirò a lui per le fattezze di Lady Oscar. A mio modo di vedere l'ispirazione non riguarda solamente il mero aspetto fisico, ma soprattutto la bellezza androgina dell'attore, e infatti Lady Oscar è una donna che finge di essere un uomo. Credo che l'influenza di Björn Andrésen sul fumetto giapponese sia andata ben oltre il solo Lady Oscar, e che l'attore abbia influenzato il genere shōjo nel suo complesso.
Oltre all'interesse suscitato in ambito strettamente fumettistico, va notato come il film di Visconti abbia avuto un impatto notevole su un ambito - il fumetto giapponese di genere shōjo - enormemente distante da quella pellicola, e come poi questo impatto si sia riverberato nuovamente con la successiva diffusione internazionale dei fumetti e cartoni animati prodotti in Giappone.
Quanto a Björn Andrésen, nel senso dell'individuo strettamente inteso, il film è un'indagine sulle sue sofferenze e i suoi traumi. Che dei traumi ci siano, e che ne risenta anche negli anni della vecchiaia, lo si capisce da subito. Nel film Andrésen si mette a nudo, o meglio cerca di farlo, visto che qualcosa viene taciuto. Ampio spazio è dato al trauma causato dal successo improvviso, che fa cadere l'attore nel tritacarne della società dello spettacolo. Ma è il trauma più superficiale, e altri ne emergono.
A proposito del tritacarne della società dello spettacolo, non ho avuto l'impressione che i registi volessero fare la morale, ma solo mostrare un dato di fatto. Tra l'altro sarebbe stato fuori luogo, visto che nel documentario vengono "spettacolarizzate" le sofferenze dell'Andrésen adulto.
"Il ragazzo più bello del mondo" è un'opera fatta con intelligenza e pazienza, che offre molteplici spunti di riflessione, e affronta e organizza l'argomento con un notevole occhio cinematografico.

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