Vermiglio
Regia di Maura Delpero
Italia, Francia, Belgio, 2024
Vermiglio,
diretto dalla bolzanina Maura Delpero, è un film ambientato durante le
fasi finali della Seconda guerra mondiale a Vermiglio, un piccolo paese
di montagna del Trentino.
L'approccio della Delpero è
estremamente realistico, come si intuisce da subito dal fatto che sono
stati chiamati a recitare degli attori non professionisti (a eccezione
di Tommaso Ragno e Sara Serraiocco), i dialoghi sono nel dialetto locale
e il film è stato girato esattamente nei luoghi in cui si svolge la
vicenda. E' con realismo che viene ricostruito un mondo ormai distante
anni luce da quello contemporaneo, ma del quale ancora oggi possono
rimanere degli echi, sotto forma di racconti fatti da chi c'era allora a
chi oggi c'è ancora (è un mondo di cui io personalmente ho sentito
parlare ormai nel lontano passato, e con il quale ho quindi una sorta di
famigliarità indiretta): un mondo fatto di famiglie numerose che
pativano la fame, di alcolismo, di duro lavoro fin dall'infanzia, di
fughe in altri continenti per la mancanza di cibo, di dispotismo
all'interno delle famiglie, di morti premature nella culla, di
impossibilità di studiare, di estremo fervore religioso, di danni
provocati dalla guerra. Tutti questi elementi - in alcuni casi toccati
di sfuggita e in altri casi messi al centro del film - sono presenti in
vario modo nella pellicola, che è una ricostruzione attenta e accurata
di come poteva essere la vita quasi un secolo fa in un paese di alta
montagna del Trentino.
Il film non si limita a una
ricostruzione quasi documentaristica di un mondo che non esiste più, e
non è questo il suo scopo. Una volta elaborato quel mondo (anche
attraverso la fotografia: le immagini dei paesaggi non strizzano mai
l'occhio alla montagna come la intendiamo oggi, cioè affascinante e
spettacolare; in "Vermiglio" la catena montuosa del gruppo della
Presanella è inquadrata come un'immagine fissa che si scorge appena un
po' aldilà della valle, come la vedono gli abitanti del paese, e nulla
più), sono i personaggi che vengono fatti emergere con discrezione. La
ricostruzione è funzionale in particolare a fare da sfondo alla
depressione di Lucia Graziadei, la protagonista femminile interpretata
da Martina Scrinzi. Non viene mai fatto cenno alla malattia di cui
soffre, perché in quel mondo mancavano la sensibilità e la cultura per
rendersi conto di cosa le succedesse, ma lo spettatore può capirlo, come
può capire che i reduci dalla guerra soffrivano di disturbo
post-traumatico da stress (assolutamente incompreso dai civili di
allora), e che dietro al fervore religioso della sorella di Lucia
c'erano passioni omosessuali inconfessate e forse incomprensibili per
lei stessa.
Mi sembra che uno dei meriti del film sia
di ricostruire un mondo disgraziato e pieno di disgrazie senza
scivolare nel patetico e nello strappalacrime. Per quanto tutti i
personaggi debbano affrontare delle prove davvero debilitanti, il film
non è eccessivamente commovente, grazie all'occhio distaccato della
regista.